VINCENZO
ROMANELLI

 

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Ti fissa dritto con quei suoi occhi di vecchio, il viso ruvido che sembra uno dei crinali aspri e brumosi che dipinge. Si mette in posa davanti a un quadro, una montagna in controluce che ricorda Turner, sorride con garbo, capisci che vorrebbe essere altrove, lontano, nella sua Puglia. Non gli piace granchè parlare di sè. Anzi, Vincenzo Romanelli non parla proprio. è un incantevole solitario, un signore schivo e ritroso che, ogni dieci anni ? non uno di più, non uno di meno ? torna a Brescia (dov'è nato novant'anni fa) per esporre le sue tele. è stato ragioniere, poi soldato, infine, quando si è trasferito a Trani, imprenditore, del resto era il 1969 e l'Italia ansante andava al galoppo. Autodidatta, dipinge quando gli pare (può non sfiorare il pennello per lustri), assiste atarassico alle civettuole diatribe dell'arte postmoderna e se un quadro non gli garba lo distrugge. Non ama ritrarre l'uomo e, quando lo fa, sono tutte ombre dalle schiene ricurve, volti diafani, contadini che paiono paesaggi. è la natura, la sua Musa. Romanelli la scruta chiudendo gli occhi. Le sue tele di barche, tramonti sanguigni, stoppie riarse, sono all'Aab, in una bella mostra curata da Pia Ferrari. Il paesaggio, però, non c'è. Ci sono lacerti di memoria, visioni di un cupo riserbo, cieli chiusi in una striscia nera, grumi di colore vibrante, campi solcati da sbavature ferine che divorano i contorni e smussano ogni plastica certezza. Romanelli ritrae un'Arcadia corrosa, una poesia di Ungaretti, lembi tellurici scrutati con i suoi occhi di vecchio, incantevole, solitario. C'è chi, a ragione, lo accosta a Turner, chi, altrettanto a ragione, agli espressionisti tedeschi, chi, poi, a Francis Bacon. Però. Lui, pur lusingato, alza le spalle. Già, non appartiene a nessuno.
Caro Vincenzo, ci rivediamo a Brescia tra dieci anni.

Alessandra Troncana
dal "Corriere della Sera", 2012

Si apre con "La montagna controluce", un olio e pastello su tela, datato 2010, la mostra personale per i novant'anni di Vincenzo Romanelli, nella sala dell'Associazione Artisti Bresciani; e la tela introduttiva va pur indicata, considerata la freschezza con cui è stata realizzata; non un segno fuori luogo, non un tono fuori posto. Come se Romanelli, di fronte ad un "normale" tramonto, tra mare e colline, riuscisse a racchiudere nel breve spazio di una tela 70x70 cm, tutte le emozioni di una vita, anche i grigiori di quel "primo piano", che metaforicamente appare come la quotidianità, e si apre e si dilata nella più ampia vicenda del paesaggio, dove un biancogiallo sole sa ancora forare le nubi e rischiarare tra il beige e il rosa, un cielo pieno di liquidi umori: anche in questo, la trascrizione di una vita, che sintetizza in quei bagliori e in quegli ispessimenti segnici, i nostri stati d'animo: in questa interpretazione vien da pensare alla maiuscola lettura che Venturi fa del "Ponte di Narni" di Corot, oggi a Ottawa. Davvero straordinaria una pittura che sa di segno e di cromie, essenziale nel cogliere la verità di natura e la sa trasformare in verità dell'animo; in un tempo in cui ci si appaga del nulla, la lezione di un "dilettante" di talento, che per tutto la vita ha affiancato alla sua quotidianità le emozioni della pittura appare come un miracolo, un frutto maturato fuori tempo e fuori moda e tuttavia buonissimo, in quel vigore scabro ed essenziale che la sua lingua sa utilizzare. È rassicurante pensare che esista ancora la pittura, come quella che si trova nel suo Campo di mais sconvolto da un temporale o nel rifiorire degli ulivi (Primavera: le primule ritrovano gli ulivi) in un campo rinato dopo il letargo invernale; titoli e immagini che danno un senso alla vita, esprimono quella vitalità della natura che troppo spesso manca alla pittura en-plein-air d'oggi, tutta tesa a definire, più che a cogliere. Come fa Romanelli; con uno sguardo sereno e tuttavia attento a cogliere quelle sfumature che trascrivono nella bellezza, anche la malinconia a volte, il venir cupo del buio della notte ("Mare d'inverno") su un mare che si nasconde al nostro sguardo per effetto dell'oscurità. L'uso parco del segno, l'uso equilibrato delle cromie, sono gli esiti di una ricerca vissuta sull'esperienza; le parole non devono sprecarsi, non devono tracimare oltre il necessario; ma solo trascrivere quei bagliori dell'animo che hanno il senso della vita; con quel tanto di freschezza e di gioia, con quel tanto di rasserenante solarità, anche nelle tinte cupe della vita, che fanno bene al cuore. E allo sguardo. Senza mitizzare e senza nostalgie; ma con la consapevolezza che la pittura è lo strumento ideale per esprimere emozioni di fronte al paesaggio.

Mauro Corradini
da "Bresciaoggi", 2012

Brescia Lirismi d'una vecchia guardia oltre la tradizione

Omaggi ai novantenni Vincenzo Romanelli all'Aab e Riccardo Musoni all'Aref, un'antologica di Simone Butti a Palazzo Martinengo,mentre il Museo Diocesano espone piccole sculture sacre di Dino Coffani

Autodidatta, una carriera artistica frammentata ma coerente in bilico tra figurazione e grafia informale, Vincenzo Romanelli approda nelle opere recenti, selezionate da Pia Ferrari con Alessandra Romanelli, in un mondo di natura selvaggia in cui le zolle di terra e i ciottoli, le erbe basse e le stoppie, le rocce laviche e le spiagge, i cieli tempestosi riflettono un senso panico che l'olio e il pastello su carta, stesi con gesti rapidi e segni marcati, caricano di energia vitale.

Giornale di Brescia
3 novembre 2012

Brescia - La pittura con Vincenzo Romanelli fa novanta.
A tale stima numerica si attesta l'età dell'autorevole pittore bresciano, da anni trasferitosi nelle Puglie della propria genealogica ascendenza, nel periodo in cui il 2012 collima sia con il suo novantesimo compleanno che con il periodo d'esordio della mostra personale da lui dedicata alla moglie Etta Lettini Romanelli, presso la sede dell'
Aab (Associazione artisti bresciani) di vicolo delle Stelle a Brescia, dove l'allestimento di una cinquantina di apprezzate sue opere è esposto fino a mercoledì 7 novembre.

Artista autodidatta, distintosi da lunghi anni nella verace passione di una convinta e riuscita elaborazione espressiva della propria sentita ricerca creativa, Vincenzo Romanelli offre, con la mostra "I novant'anni"", la compendiata rappresentazione dei suoi manufatti di più recente attuazione, eseguiti con tecniche diverse di ispirazione, nell'ambito di una manifestazione promossa dai suoi figli Maria Alessandra e Nico, residenti a Brescia, mentre con la figlia Isabella l'autore ha raggiunto il capoluogo bresciano, dove è nato nel lontano 1922, per presenziare alla partecipata inaugurazione della mostra, avvenuta con il concorso del prefetto Narcisa Livia Brassesco Pace, della curatrice dell'iniziativa Pia Ferrari e degli esponenti dell'Aab, nelle persone, fra gli altri, di Vasco Frati, past president del sodalizio, del vicepresidente Giuseppe Gallizioli, del segretario Corrado Venturini, prodighi d'accoglienza verso il folto pubblico degli appassionati del settore e degli estimatori del pittore.

Gradita ospite d'eccezione, la figura del prefetto di Brescia, è stata pubblicamente salutata da Vasco Frati nel lieto ricordo d'una felice analogia con un'altra mostra, invece collettiva, attuata nell'ultradecennale storia dell'Aab, attraverso quell'incoraggiante riscontro istituzionale che ancora consente di attestare la presenza del rappresentante dello Stato in una delicata fase d'avvio per gli appartenenti all'associazione, ad origine di un percorso che si presta a verifica anche oggi, per la congiunturale criticità di ricognizione di fondi necessari per l'opportuno supporto alla propria linea di azione, svolta a promozione dell'arte e della formazione culturale del settore in molteplice afferenza d'attribuzione: "la prima esposizione venne organizzata il 14 ottobre 1945 in alcuni ambienti del pianterreno del palazzo Bettoni Cazzago in via Gramsci 17, rimasto sede dell'Aab fino al 1990: parteciparono alla rassegna centoventi artisti bresciani e all'inaugurazione furono presenti il sindaco Guglielmo Ghislandi e il prefetto Pietro Bulloni"". Dopo le tante feconde stagioni produttive che, per una dozzina abbondante di lustri, hanno configurato nelle arti espressive l'associazione bresciana, a perno di riferimento dell'evoluzione di molteplici generazioni di artisti locali, la presenza del prefetto ha offerto un ulteriore elemento di spessore all'interessante margine di condivisione coltivato dal sodalizio stesso nella società civile che, all'omologa carica prefettizia di allora, associa la riscontrata sensibilità di quella odierna nella valorizzazione della propria peculiarità culturale, svolta nel territorio anche per un dialogo istituzionale, foriero di genuine speranze per il futuro in ordine all'interpretata attività sociale, indirizzata al bene comune.

Il prefetto Narcisa Livia Brassesco Pace ha incoraggiato l'intento culturale dell'iniziativa per quell'utilità sottintendente l'accrescimento umano in una dinamica di opportunità che, legata ad altre consimili, concretizza la capacità di reggere le attuali problematiche contingenze, difficili per tutti, nella tradizionale perseveranza di quel patrimonio ideale che esprime la ricchezza di un'elevata ed affinata propensione umana a saper manifestare concetti ed emozioni universali nella versatilità eclettica di metodi e di carismi che sono significativi dei diversi artistici approcci compositivi nella rispettiva maestria degli autori, in capo ad opere capaci di dialogare con altrettanti contesti d'ingegno e di studio espressivo. Nell'accennare all'età da venerando decano del pittore Vincenzo Romanelli, Narcisa Brassesco Pace ha messo in luce la cospicua testimonianza personale che l'artista esercita attraverso la sua emblematica longevità, esercitata nel campo tuttora da lui percorso ed esplorato della resa espressiva, "quasi che i suoi quadri passino in seconda linea", rispetto al messaggio riscontrabile nel costante e conservato impegno di fedeltà nell'arte, attraverso il suo lungo e perdurante vissuto che a Brescia può diversamente evocare figure di altri noti e stimati pittori, come Oscar Di Prata (1910-2006) al quale il capoluogo bresciano ha dedicato nel 2011 la mostra postuma "Angeli e Demoni. Drammi e Speranze del Novecento", curata da Maurizio Bernardelli Curuz, con un'antologia critica di vari qualificati autori e con le note biografiche ricostruite da Giovanni Quaresmini che all'artista era legato da una personale e corrisposta amicizia. Se il prefetto, a personale esternazione per un'empatica condivisione con la mostra "I novant'anni" di Vincenzo Romanelli ha esplicitato la propria preferenza al quadro, fra gli altri esposti, dal titolo "Primavera, le primule ritrovano gli ulivi", da Pia Ferrari è giunta una generale considerazione su una specifica ed accurata visione complessiva delle opere realizzate dall'autore, tanto nell'eco delle più lontane stagioni creative, quanto nell'ultimo decennio dal quale lo separa la realizzazione di una sua mostra cittadina, correlata all'uscita in stampa di un'elegante monografia scritta da Mauro Corradini.

L'esposizione presso la sede dell'Aab, situata in prossimità dell'antica chiesa di "Santa Maria dei Miracoli" di Brescia, è visitabile nell'ambiente dell'arioso salone, dalle larghe pareti e dalle tre teche, a vetrina di allestimento, negli orari, sia dei giorni feriali che festivi, compresi dalle ore 16.00 alle ore 19,30, nel periodo d'apertura che, con il lunedì, come solo giorno di chiusura, si rinnova fino al 7 di novembre, configurandosi contestualmente alla disponibilità di un'interessante pubblicazione, attuata a supporto dell'iniziativa, che per il numero 193 delle edizioni dell'Aab offre, attraverso la stampa realizzata per la -F. Apollonio & C.- di Brescia, una quarantina generosa di pagine patinate, a possibile lettura d'approfondimento circa l'estro artistico del pittore. Tutto questo insieme di condensato sapere manterrà la propria validità d'utile attestazione nella valenza che lo contiene anche quando la mostra avrà lasciato alla sicura accoglienza del tempo a venire la persistenza dell'impronta pittorica dell'apprezzato autore su cui hanno scritto, fra gli altri, critici come Elvira Cassa Salvi, Luigi Salvetti, Giuseppe Canta, Guido Stella, Luciano Spiazzi, Antonino De Bono, Alberto Morucci, Mario Monteverdi, Giuseppe Selvaggi, Lino Lazzari, Aldo Carugno, Domenico Di Palo, Manlio Alzetta, Tato Mazzieri, Mario Lepore, Gino Spinelli, Paolo Ricci, Lorenzo Favero, Carlo Segala, Jole Simeoni Zanollo e Maria Punzo ed ai quali si aggiunge nell'accennata pubblicazione, realizzata con il patrocinio di Comune e di Provincia di Brescia, lo scritto dal titolo "Il paesaggio di ognuno" di Pia Ferrari, elogiato, nel corso dell'inaugurazione dell'esposizione presso l'Aab da Vasco Frati per la capacità di riuscire ad esprimere "la vivacità, l'intelligenza, il gusto e la giovinezza espressiva" del pittore.

Pittore neofigurativo, a suo stesso dire, espressionista progrediente verso l'astratto che, anche nelle suggestive allusioni informali del proprio stile, con l'arte intende esprimere le emozioni provate nel confronto con l'oggetto della propria vasta ispirazione. Le sue opere vogliono comunicare il piacere sperimentato dall'autore nel cogliere l'essenza e nel condividere la quintessenza di un'espressione di peculiare consistenza nel campo di un'interiore rifrazione che esterna ricorrendo alla generalità di composite tecniche, pure rappresentate nella mostra attraverso lavori che richiamano la propria natura alla matrice fattiva dei pastelli seppia su carta, piuttosto che acrilici e pastelli su carta, come pure ad inchiostri e pastelli su carta, ma anche a tecnica mista su tela, ad olio e pastelli su tela, a matite colorate su carta, ad inchiostri e penna su carta ed ai soli pastelli ancora su carta. La felicità della natura, colta nelle diverse accezioni catturate dall'elevata ispirazione di Vincenzo Romanelli è quella che muove il pittore a fare emergere tutto il rapporto poetico delle cose e delle scene ritratte, in modo che la resa espressiva riconduca, ad una limpidezza d'immediata meraviglia contemplativa, quell'assorto moto ispiratore, presente nell'autore, davanti alle pulsioni esercitate dal panorama naturale vivente nella modalità attraverso la quale la creatività attuativa manifesta una freschezza d'impatto, interpretata senza alcun filtro, denotandosi al di fuori delle mode e delle tendenze artistiche, propugnando in questo modo la propria asseverata durata nel tempo.

In una modalità contenutistica che vede la sua arte esprimersi anche attraverso un piacevole accordo tra forme, segno e colore, sviluppato in una vibrante essenzialità, intesa come valore, per tralucere maturazioni, tensioni e rilassamenti nel movimento complessivo del respiro vitale della natura catturata nelle sue opere, del pittore si legge, tra altre attente considerazioni, nello scritto di Pia Ferrari, curatrice della mostra insieme a Maria Alessandra Romanelli: "Sulle sue tele e carte dipinte tutto si vede ed affiora alla superficie in modo essenziale e scarno, perfino i solchi dell'acqua non si asciugano e rimangono, non assorbiti dal suolo, a determinare tracciati visivi"". Un'osservazione che riconduce i visitatori della mostra alla constatazione pure riscontrata nel pittore di sapere "cogliere al volo le affinità esistenziali tra luoghi, animali ed elementi naturali, dalle piante alle rocce, all'uomo, fissandoli, tutti, nella loro vita sulla terra come corpi vivi, con sofferenze, esplosioni di gioia o spegnimenti"".

Anche questi tratti connotativi sono confacenti all'avvincente elaborazione del paesaggio, quale efficace miraggio spirituale per lo sguardo universale al quale ogni età riporta la prospettiva di una latente speranza o di una riuscita conquista acquisita, sul piano della propria effimera esistenza specularmente attribuitavi, scaturendo dagli insondabili livelli profondi dell'anima coinvoltavi, terreno fecondo per le otto beatitudini di evangelica rivelazione, a trasfigurazione del Regno dei Cieli, per un'eletta trasformazione.

Luca Quaresmini
da "Populis" 2012

La Piccola Galleria Ucai, presenta una breve ma intensa, rassegna di Vincenti Romanelli: si tratta di un personaggio già presentato a Brescia, dove È nato quasi 70 anni fa, ma da tempo lontano dalla nostra e sua città. Romanelli presenta una serie di opere, dall'intenso sapore poetico: si tratta di paesaggi, scorci di paesaggio, colti per lo più sui toni del crepuscolo, quando la sera incombe sulle cose ed egli sente più profondamente la poesia della natura. In quei momenti, la matita delinea brevi tratti, a definire un oggetto od un ambiente, poi interviene direttamente il colpo di colore a dare tono e vita alla rappresentazione, a filtrare la materia rappresentata attraverso gli spessori e gli umori dell'emozione che si condensa in cromie. I paesaggi di Romanelli sono poveri di oggetti. Romanelli crede al rapporto tra rappresentazione e rappresentato: la sua è una mimesi che ritrova nella lontana eco della pittura tra le due guerre il sapore di una immedesimazione totale nel paesaggio, il senso ed il gusto per una realtà toccata leggermente, in punta di pennello, si direbbe, per non far trasecolare l'attimo fuggente dell'emozione, che si ferma su alcuni oggetti, si distende attraverso alcuni colori, trasale e si motiva attraverso alcune accensioni. Ed è in questa piccola poesia della natura che ritroviamo il piano più alto di una pittura che si presenta come un'autentica e gradita scoperta per chi scrive.

Mauro Corradini
da "Bresciaoggi", 1990
 

Dire della pittura come diario dell'anima sembra quasi ripetere un concetto troppo frequentato e perfino ovvio. Eppure nella lettura di un'esperienza artistica non si può evitare questa dimensione, anche se occorre guardarsi dall'assolutizzarla per non limitare il linguaggio artistico a puro intimismo a espressione di sentimenti isolata da un contesto che la riscatti dalla vocazione al narcisismo. Si è però costretti a pensare in questi termini davanti agli ultimi dipinti di Vincenzo Romanelli perchè sono tanto scopertamente autobiografici da consentirci di rifare, attraverso la loro fonte, oggettiva efficacia, il profilo interiore di questo schivo pittore bresciano un tempo presente alla ribalta della cronaca artistica cittadina ma assente ormai da alcuni anni. Anche la tecnica impiegata suggerisce di leggere questa volontà di interiorizzazione proprio perchè ogni uso di materiale pittorico dispiega la sua logica espressiva con caratteristiche peculiari e non riproponibili con tecniche diverse. Vincenzo Romanelli usa in prevalenza il pastello a volte nella sua immediata squisita purezza, a volte commisto con altri interventi grafici o con guazzi repentini che ne attenuano la superficie vellutata per affogarne il brillio in campiture più pacate e amorfe. Il pastello ha precedenti illustri e frequentazioni accademiche di alto rango ma in mano a Romanelli si veste di una particolare forza espressiva. Non è un giocare con le morbidezze e le sfumature che le patine gessose permettono o di accennare vapori trasparenti e profumati: il mondo circostante viene annodato con forza e singolare energico nervosismo, con filamenti di colore vivido e pungente, su masse ombrose e magmi oscuri, con tagli compositivi semplici nelle geometrie fondamentali accampate su cieli angusti schiacciati dall'orizzonte innalzato in controluce e bagliori tetri e vibranti. Non è vedutismo lirico e compiacente ma piuttosto una volontà di captare negli elementi del paesaggio una solitudine amara e desolata. Guardando queste composizioni, che appaiono come fotogrammi di una sequenza sempre uguale e sempre diversa si comprende quanto sia limitata l'opinione di chi vede nel paesaggio un "genere" di pura descrittività o di banale imitazione. La natura è una grande pagina aperta nella quale si esprime il continuo flusso della vita a cui partecipa con rilievo indiscusso e preminente la natura umana. L'attenzione alla natura è la presa diretta su una problematica che solo il pittore ottuso sciupa e mortifica in un vedutismo senza stimoli spirituali. Per questa semplice constatazione anche l'indagine di umili scorci o di semplici momenti di natura può diventare una sigla interpretativa di situazioni più ampie, più generali e più determinanti. La piccola filosofia dello "sguardo sulle cose" diventa la chiave per trovare risposta a molte domande. Forse il pericolo di questo passaggio immediato dallo stimolo naturalistico a una interpretazione esistenziale è quello di un eccessivo simbolismo e, anche se la tentazione è forte, occorre saper guardare la natura con "occhi di natura" ma nemmeno si può -aprioristicamente- escludere una risonanza interiore a certe provocatorie contemplazioni naturalistiche e può essere altrettanto nefasto smorzare il vibrare del richiamo spirituale solo per una volontà di salvaguardare le ragioni della pura visualità o della specifica sensazione coloristica. Cogliamo perciò la proposta pittorica di Vincenzo Romanelli come un esplicito invito alla contemplazione che è proprio la capacità di sostare sulle cose con occhio attento e libero perchè ne nasca, lentamente ma irresistibilmente, una immersione nei significati e nelle allusioni. Allora la natura appare grande, capace di evocazioni suggestive del dramma interiore dell'uomo anche quando l'uomo sembra assente mentre parlano sempre e soltanto di lui i cieli e le piante, le pianure e le ombre, le nubi e le case.

Luigi Salvetti
20 febbraio 1990

"Ogni composizione ha le proprie peculiarit", sia formali che contenutistiche, pur essendo comune la scaturigine di una tavolozza dai toni morbidi e delicati, con calde e diffuse accensioni coloristiche, che illuminano deliziosi sfondi paesistici, impreziosiscono figure muliebri e animano dolenti personaggi attanagliati da un'atavica sofferenza. Le opere sono eseguite con la tecnica più varia e l'esito finale va dalla modulazione e vaporosità di dissolvenze tonali, che riescono a cogliere le vibrazioni suggestive della natura, ai tratti nervosi, stesi anche a spatola, come colpi di fioretto, che riescono a catturare stati d'animo e ad incidere caratterizzazioni psicologiche. Comunque il discorso pittorico viene condotto con grande libertà d'azione ma con estremo impegno e rigore compositivo e sempre con una vivacità ed una calda partecipazione, unite ad un gusto e ad un amore quasi spasmodico per la natura, in cui Romanelli sa cogliere ogni più delicato palpito ed esaltare ogni più intima manifestazione di vita anche nelle cose più umili e più semplici, che potrebbero passare inosservate, ma che, viste con un'ottica di intensa umanità, svelano un'essenza altamente poetica.

Giuseppe Canta, 1985

Romanelli abita e lavora a Brescia. Ha esposto in parecchie mostre italiane con personali e vari giornali hanno parlato della sua opera di pittore. Questa comprende ritratti, paesaggi ad acquerello e ad inchiostro, nature morte. Nei ritratti, che in ragazzo che suona il flauto e ragazzo con fisarmonica si presentano come vere composizioni, Romanelli è sereno, armonioso, indulgendo un pò ad una sensibilità crepuscolare, come poteva essere di Semeghini o di Vagnetti. Il colore è terso, rarefatto, senza essere prezioso. Nei paesaggi, il pittore esprime il meglio delle sue possibilità di fantasia e di linguaggio (tramonto. il fiume, barche sul fiume). Gli acquerelli e gli inchiostri sono gustosi, delicati nei toni che toccano un notevole equilibrio tra l'impressione vivace e la decantazione nella memoria poetica. Nelle nature morte, Romanelli si è più impegnato (come nei paesaggi meridionali) in composizioni robuste dove l'accento inventivo è maggiore e più scoperto. Il suo mondo più genuino ci pare quello in cui si esprime un rivolo autentico di poesia vergiliana, elegiaca, un canto sommesso alla pianure e alle acque.

Guido Stella
da "La Voce del Popolo", 1982

- Un fare sciolto e insieme sintetico con abbandono di ogni ornamento superfluo, per fare del quadro il luogo di incontro tra emozione e concretezza del reale. Colori cercati senza compiacenze, volutamente disadorni ma per ciò stesso maggiormente intensi e suggestivi.

Luciano Spiazzi, 1980

-Riesce ad esprimere, con caratteristica espressionistica, l'urgenza panteistica della natura per contrapposizioni cromatiche.

Antonino De Bono, 1980

- Le figure lontano da una ricerca puramente estetica, hanno valore soprattutto per la loro carica espressiva filtrata attraverso la serie dei sentimenti nei quali è profusa tutta la sensibilità del pittore. E tuttociò che la tecnica ragguardevole, con autonomia stilistica e genuinità di espressione, doti per le quali Romanelli occupa un posto di rilievo nell'ambito della pittura bresciana.

Alberto Morucci, 1980

Il mondo pittorico di Vincenzo Romanelli si nutre di un sentimento che è ugualmente sollecitato dalla natura e dalla nostalgia. Son due aspetti della sua personalità che finiscono per comporsi armoniosamente anche se determinati da due diverse fonti d'ispirazione: l'una, quella naturalistica, è suggerita da una diretta presa di contatto col paesaggio (e con gli oggetti, nelle semplici ma sensibili e contenute nature morte) in una ricerca d'essenzialità che filtra gli elementi espressivi fino a riassumerli in una sintesi stilistica di forma e di colore assai efficace, dalla quale vengono banditi tutti i fattori accidentali ed estemporanei. L'altra fonte, quella affidata alla memoria, deriva invece dalla necessità di fissare in immagine ciò che affonda nei ricordi dell'infanzia e suscita la visione di momenti irripetibili, l'impaccio di un vestito addirittura emblematico, la rivelazione di nuovi piccoli mondi spalancati davanti ad occhi di fanciullo. Qui la soluzione stilistica si fa più ardua proprio perchè contrastata dal pudore di quelle emozioni che sino all'istante in cui il segno ed il colore non sono venuti a trarle dall'angolo riposto della coscienza in cui si rifugiavano, erano rimaste segrete per tutti, fors'anche per l'autore. Ma vi è un elemento che unifica codesti due filoni: ed è la poesia. La genuina poesia di Romanelli che, già pronta nell'individuare i propri strumenti espressivi quando si tratta di stabilire un lirico colloquio con la natura, s'avvia a trovare gli accenti più personali ed autonomi che nei confronti di codeste rievocazioni sentimentali dell'infanzia. E la meditata ricerca d'un segno, d'altronde surrogata da un sicuro istinto, e la qualità del tono e dell'impaginazione pittorica garantiscono all'artista bresciano è che nella Puglia ha ritrovato la propria vena creativa ed evocativa- un suo posto appartato nel coro frastornante di troppe voci non sempre intonate: quel posto appartato nel coro frastornante di troppe voci non sempre intonate: quel posto che si conviene agli artisti genuini che hanno il pudore dei propri sentimenti ma che nel tempo stesso, provano l'irrefrenabile desiderio di comunicare con gli altri e di trarsi da una solitudine che, tutto sommato, è ancora un'oasi di poesia.

Mario Monteverdi
Milano, 1976

L'operazione di Vincenzo Romanelli, dinanzi al paesaggio da dipingere e trasmettere a chi guarderà il suo quadro, è di rendere persona la natura ed il suo ritmo. L'operazione di questo artista dinanzi alla figura umana da indagare e dipingere risulta una sorta di approfondimento sino a far risultare la figura un paesaggio della natura, una realtà come le altre: spontanea. Questa intenzione di unità, che in altri quadri va oltre l'intenzione sino a risultare unità d'arte, è il fenomeno che di più colpisce chi osserva la pittura di Vincenzo Romanelli, e considera i suoi quadri e i suoi disegni colorati oltre la scorza della prima lettura. L'osservatore ha così il piacere di trovarsi dinanzi ad un artista che medita la propria spontaneità di lavoro. In Vincenzo Romanelli la freschezza è prima pensiero. Noi abbiamo quindi un pittore che parte ed opera su un binario doppio. Un dualismo che viene denunciato subito dal suo colore: tenerezza nella ricerca di momenti tenui nel colore, affiancata ad angoscia nella ricerca di incupimento del colore. E questo accompagnato da uno stesso pulsare del disegno. Una linea serenamente distesa sino alla dolcezza, e insieme tratti spezzati come ad indicare la frantumazione della dolcezza in angoscia. Il dualismo risulta così il segno premonitore dell'esistenza, e documenta la presenza di un pittore che arriva oltre il semplice linguaggio grafico della pittura (che è ormai linguaggio di livello scolastico) per avviarsi nel misterioso meandro del linguaggio della poesia attraverso la pittura. Un dualismo che è bisogno intimo di alternativa continua, di ricerca: com'è della natura dell'artista. La pittura di Romanelli esce dalla sua apparenza di pittura facile e denota la tipica sana incertezza dell'arte pensata e poi di istinto realizzata di getto che ha tutte le caratteristiche dell'immediatezza. Un dono positivo in questo artista, in un tempo (gli ultimissimi anni della pittura italiana) in cui prevale il pensiero tecnicistico anche in arte, per cui una somma di situazioni geometriche, alcune apparecchiature meccaniche, una preparazione fotografica danno il risultato di una realtà più della realtà. In una dei momenti più felici (perchè tutte le strade conducono all'arte, se artisti si è) dell'iperealismo, la scelta romantica di Vincenzo Romanelli è anche un coraggio. Romantico qui non è un termine negativo, ma classico. Vorrebbe indicare nella pittura di Romanelli appunto quella confluenza in unica linea delle due parallele già indicate come meditazione e potenzialità di una pittura spontanea. Cioè si vorrebbe stabilire come la malinconia ed a tratti la violenza della migliore pittura di Romanelli, la scelta ragionata e assimilata dei mezzi tradizionali di rendere pittura confluiscono in una qualità primaria di questo artista: volontà di guidare la propria pittura, di pensarla. Cuore e mente, potrebbe essere una semplicistica ma efficace sigla per rendere chiaro il significato di romantico attribuito alla pittura di Vincenzo Romanelli. Romantico, perciò, in un senso moderno. Come nella musica dei beats. Per quanto può valere la testimonianza di uno scrittore nei confronti di un pittore - che è resa sempre mettendosi dalla parte di chi guarda il quadro fuori dal come è stato prodotto, cioè fuori dalla competenza di chi fa il quadro stesso - a me sembre che la pittura di Vincenzo Romanelli abbia premesse di sviluppi ed anche di sorprese positive. Certi scontri di colore in alcuni suoi quadri, scontri che hanno la gioia dell'illogicità alcune volte, sono come l'avvertimento di qualcosa di represso. Un pittore cioè che ancora può e deve dire, Vincenzo Romanelli non è quindi all'ultimo atto della sua pittura.

Giuseppe Selvaggi
Roma, aprile 1975

Il pittore Vincenzo Romanelli, che espone una personale alla Galleria d'arte "Mod", via Bofuro 5, è un figurativo che già tende ad un'espressione libera dai canoni della pittura tradizionale. Per lui ciò che conta è l'essenzialità del pensiero da manifestare e quindi non gli serve soffermarsi in quei particolari che sono, più che altro, aggiuntivi. I soggetti rimangono nella loro completa integrità trasformati quasi in visioni sognate senza nulla togliere a ciò che sono di fatto. Il colore si fa perciò spesse volte trasparente oppure diviene esso stesso motivo di composizione scenica. Prevale il concetto in quanto tale, che sulla tele viene ad acquisire la sua importanza e il suo valore completo. L'aspetto paesaggistico Vincenzo Romanelli lo considera come punto di partenza per una serie di altri aspetti più importanti. Come la sensazione del bello che impreziosisce una semplice visione. Non è facile trasportare tutto questo sulla tela. Eppure Romanelli vi riesce con la sua bravura interpretativa, con la sua attenzione verso tutto ciò che è degno di essere osservato più con l'intelligenza che con i segni. Da qui le opere altamente significative di un animo delicato, che ama appunto la bellezza in quanto tale senza voler cadere in estetismi di mestiere. D'altra parte pensiamo che Romanelli non ne sarebbe capace. È troppo sensibile. Questa sua sensibilità la si nota non solo parlando con lui, ma "vivendo" da vicino e con lui le sue opere, in quelle delicate trasparenze tonali, in quei colori che alle volte diventano forti e, perciò stesso, manifestazione di sentimenti diversi ma pur sempre nobili. Le figure non si discostano, nel loro significato, dai temi fin qui illustrati. Si ha la partecipazione con il personaggio, non mai ieratico o solenne, ma confidenziale, come ci piacerebbe che fossero tutti gli uomini, noi compresi. Molto buono il disegno e l'impasto del colore.

Lino Lazzari
da "Eco di Bergamo", 1978

 

Dalla Puglia ritorna ancora una volta a Brescia (sua città) Vincenzo Romanelli. E non poteva mancare l'omaggio accattivante al centro storico. Il Duomo Vecchio spolverato di neve e solitudine, alcuni portali di chiese rinascimentali, Sant'Agata, il Carmine, brevi e stretti vicoli dove la gente si infila come in corridoi aperti, piazzette e altro dei quartieri più antichi. Il tutto all'insegna di una voluta dimensione "povera" che è la sigla propria di Romanelli. A mezzo tra espressionismo e dimessità delle cose e del mondo fuori di noi questo artista arriva agli esiti migliori quanto più libera la tela restando all'osso. Alcuni esempi al di là dell'omaggio cittadino esemplificano bene il concetto. Si veda il materasso arrotolato sul letto, la vecchia casa in collina, un viottolo di campagna, alcuni capanni sulla palude. Il colore si impasta di bruni terrosi, s'abbassa il cielo fino a confondersi con la zolla, il respiro delle cose si fa agro, dominato dalla solitudine.Neanche un volo di uccelli nell'aria.

Luciano Spiazzi
 da "Bresciaoggi" del 8 Aprile 1978

Una parola che torna spesso nelle cronache, nei saggi dell'arte contemporanea, è "rottura". Lo stacco brusco, violento, la frattura separante un qualcosa della sua precedente continuità dalla quale esso dipendeva. Rottura che ha portato a nuove "mode" artistiche che con il passar del tempo, si è visto, che di artistico non avevano nulla o ben poco. Oggi, però, dopo tanta babele di tecnicismi e di pseudoavanguardismi, si assiste lentamente ed altresì fortunatamente, al ritorno sulle vie maestre. E questo moto "a ritroso" non è certo partito dall'Italia, culla delle arti e di chissà quante altre cose, ma ancora una volta da oltreoceano. Ma a questo punto il discorso ci porterebbe ovviamente lontano. Diciamo subito che Vincenzo Romanelli, artista bresciano, operante da pochi anni a Trani, quella famosa strada maestra di un'arte vera, ricca di slanci e di genuinità, non l'ha mai tralasciata, serbando sempre, come pochi artisti in questo periodo di crisi e di transizione, i caratteri peculiari di un pittore coerente con se stesso. Vincenzo Romanelli possiede perciò qualità e doti che gli permettono di estrinsecare tutto un suo particolare mondo, un proprio modo di essere, intimo e segreto, quasi una ideale "recherche du temps perdu", per dirla con Proust. Ne abbiamo una conferma ulteriore nelle più recenti opere dell'artista bresciano, ove il racconto pittorico torna, puntualmente ricco di fermenti e di impressioni. Cogliamo, in tal modo, nei soggetti che recano tuttora una prevalente matrice lombarda (campi di grano, fiumi, rogge,le dolci colline bresciane), il tracciato di una spatolata immediata, ottenuta attraverso una esecuzione scevra da esitazioni o ripensamenti. Racconto pittorico che se da un canto par ascritto a strutture astratte, viene infine ricondotto, mediante un accorto cromatismo, sul piano espressivo ed emozionale di libera compenetrazione ed effusione lirica. Più che egloga o elegia, diremo, quindi, che i fiumi, le rogge, le colline, ecc. di Romanelli, sono il risultato di una raggiunta misura di sè, di una conquistata sicurezza che tuttavia non cessa di essere apprensiva e sensibile nel suo modo di essere umana e di riconoscersi nei limiti oggettivi del mondo naturale. Perfettamente consequenziale con l'opera prima, sta la vasta gamma dei disegni ove Vincenzo Romanelli ha la possibilità di estrinsecare ulteriormente, quel suo mondo intimo, soffuso altresì di amara dolcezza, diario psicologico che con il passar degli anni si è andato sempre più arricchendo ed affinando , come sbocco della propria esperienza e testimonianza umana. Visi di bimbi dall'aria simpaticamente imbronciata, sguardi severi, ma buoni di marinai e pescatori o visi rubicondi di clowns, ove il riso è pianto segreto. Un discorso figurativo, in altri termini, senza sofismi e finzioni, ma con la sua porzione di verità: opere ultime di Vincenzo Romanelli, che stanno ad attestare una piena autonomia pittorica dell'artista, senza costrizioni intellettualistiche, totalmente guidato dal suo temperamento schivo ed altresì raccolto e sognatore.

Aldo Carugno, 1971

Ho rivisto Vincenzo Romanelli dopo alcuni anni. Il suo volto arguto e sorridente, così come appare sul risvolto della locandina annunziante una sua personale a Bari, non è cambiato. È cambiato invece qualcosa nel suo discorso pittorico. E ricordando alcune sue opere degli anni passati (acquerelli ed inchiostri in particolare) penso alla fatica che ciò gli ha comportato, penso alle incertezze e ai ripensamenti; in fondo la crisi del naturalismo lo ha interessato proprio da vicino. Il suo linguaggio oggi si è fatto più libero, ha eliminato cadenze gelosamente custodite, particolari superflui, le tautologie. Ora costruisce ma non lambicca più il colore, lascia insomma libero campo ad una rappresentazione meno epidermica della realtà e di conseguenza le sue tele sono meno edulcorate, meno convenzionali quando riflettono con forza l'emozione breve di un momento o conquistano la immagine rapida di paesaggi lombardi cari nella memoria, o quando suggeriscono infine l' impressione di una grande forza emotiva inespressa, di una suggestione profonda alla quale aderisce l' impulso del sentimento più che il dettato dello ragione. E questo, attraverso una dilatazione luminosa di terre bruciate, di tutta una gamma di verde,di ocra e di rossi, con pennellate perentorie, che ora fanno divampare il colore ed ora lo frantumano in una fantasia di toni, con un segno, sempre più secco, nervoso, incisivo, quanto basta per non restare imprigionati in una memoria decadente, in una macerazione crepuscolare. Così Romanelli, alla luce di questo atto di fede nella sua pittura, cerca ora di esprimere le testimonianze della propria coscienza. Ma possiamo essere ottimisti: niente, abbiamo imparato, può fermare lo sviluppo di una visione.

Domenico Di Palo, 1971

 

La mostra di Vincenzo Romanelli alla A.A.B. è un esempio da segnalare. Dopo le prime prove, ispirate da una vocazione sincera, ma ancora acerbe, generiche, ricalcate su moduli correnti, sono venuti attraverso anni di ricerca paziente, di applicazione volonterosa, alcuni di questi olii che costituiscono un primo risultato poetico, un punto di partenza sicuro per uno svolgimento che si preannuncia ormai sotto fausti auspici. Romanelli è andato elaborando con esercizio costante la sua ispirazione. Dopo tanto riprovare con chine, inchiostri e acquerelli, eccolo ora riuscire ad una pittura a olio talvolta più fluida, talvolta cromaticamente più forte e intensa. I quadri migliori, in mezzo evidentemente a prove ancora un pò incerte e deboli, indicano già inequivocabilmente quale sia l'indole artistica di Romanelli, quali le inclinazioni da coltivare: un realismo capace di esprimere con commozione autentica la poesia vivificante della natura: un realismo spoglio, dimesso, essenziale, un senso di terra nuda e vera, di terra madre espresso senza orpelli o forzature,con poche immagini elementari e di taglio non convenzionale: (il muro di un povero capanno sbilenco, un campo giallo con una striscia di cielo grigio-azzurro, alcuni tronchi mozzi e nodosi,una pietraia brulla e deserta). Dove più agisce questo senso solido, corposo, ora aspro e petrigno, ora tenero e pastoso della realtà, li anche il colore, il disegno si fanno più densi ,più ricchi di sostanza espressiva superando è in efficacia poetica-le sfere dal fare largo diluito ma anche più approssimativo e convenzionale.

Elvira Cassa Salvi
da "Il Giornale di Brescia" del 15/12/67

- Quanto al giovane bresciano Vincenzo Romanelli che espone nell'altra sala della medesima galleria, dalla mostra che tenne un paio d'anni fa mi sembra abbia progredito. Egli è tendenzialmente un espressionista e un lirico, ha un fare largo, un colore intenso ma più incline alle note basse che a quelle alte, con accordi ben combinati. Mi sembra che le sue cose migliori siano quelle eseguite scioltamente con le chine colorate e magari qualche tocco di penna, in cui è più diretto e limpido di colore.

Mario Lepore da "Corriere Milanese", aprile 1967

 

- Vincenzo Romanelli, da Brescia, è un autodidatta che può avvalersi di una tecnica ricca di espressioni pittoriche. Espone alla galleria d' Arte Accademia degli olii dotati di una coloristica veramente pregevole, mentre negli "inchiostri di china colorati" trovo un ben dosato illustratore dalla mano sicura. Consiglio al Romanelli di insistere negli olii ove il suo temperamento pittorico viene meglio espresso.

Tato Mazzieri

- Libertà formale, rapidità di stesura, sono due doti che danno la possibilità, al Romanelli, di creare cose di notevole ariosità. È un acuto narratore che sa cogliere l'essenza delle cose con il loro spirito di cose semplici che colpiscono la fantasia del poeta.

Manlio Alzetta
da "Voce di San Marco", Mestre-Venezia, maggio 1960

 

- Vincenzo Romanelli, acquerellista bresciano, ha una vena assai piacevole e fluida. Egli, nella sua personale alla Galleria "La Vetrina", presenta opere interessanti, dalla pennellata schietta ed espressiva.

Paolo Ricci
da "L'Unità", Napoli, aprile 1960

- il discorso pittorico del Romanelli è bozzettistica, e diciamolo pure alla "vecchia maniera" , ma nel senso più letteralmente positivo della parola: onde senza ricorrere ad esempi analogici, basterà soffermarci per poco innanzi ad ogni quadro per ritrovarci tra pescatori d'un tempo, vecchie carrozze, antichi quartieri poveri, un mondo diventato irreale e che tuttavia resiste quando riviene fuori dalla sincerità rappresentativa e sicura d'un artista che ha istinto e temperamento capaci di elevarsi a poesia. E.Alvino (da "Voce del Sud" - Lecce - novembre 1959) egli persegue con sicurezza un cammino vecchio di decenni con una tecnica anch'essa carica d'anni. Ha tuttavia tale freschezza e tale facilità discorsiva, che si esprime in facilità di tocco, da creare nell'osservatore, una suggestione libera da ogni complicazione estetica e da ogni teorisma para-critico.

E.Bonea
da "La Tribuna del Salento", novembre 1959

- acquerellista di potenza creativa veramente efficace. Vincenzo Romanelli nella sua personale, ha dimostrato di possedere doti eccellenti per intuito di arte e tecnica. Impostate su una caratteristica personale, le opere del Romanelli elargiscono soavi sensi di una commovente liricità, così che l'osservatore intravede, nella composta coerenza coloristica, il linguaggio sereno, caldo e armonioso, di un artista che conosce disegno e tecnica pittorica. Eccellente impressionista il Romanelli si rivela dotato di squisita sensibilità per cui consegue nelle sue opere risultati davvero soddisfacenti.

Gino Spinelli da "Sette Giorni", Bari, settembre 1959

 

- Romanelli è un pittore particolarmente felice nel cogliere saporosi appunti e notazioni immediate, giovandosi della sua consumata esperienza di acquerellista.

da "La Gazzetta del Mezzogiorno", settembre 1959

- Romanelli è un acquerellista spontaneo, che sa cogliere l'aspetto poetico delle cose senza concedere troppo alla forma e valorizzando le possibilità dell'acquerello senza indulgere a facili scappatoie. Si deve notare anche come questo giovane acquerellista si adatta con facilità in composizioni varie, cogliendo nella natura diverse direttrici prospettiche e riuscendo così a variare efficacemente il suo periodare paesistico.

Fantini
da "L'Eco di Bergamo", aprile 1959

..Vincenzo Romanelli espone in questi giorni un buon numero di acquerelli alla Galleria Internazionale. Sono paesaggi di Puglia, di Liguria, di Francia, colti con il sapore dell'appunto. Molto sensibile al colore, Romanelli lo stende con abilità entro una ben precisa definizione di disegno. Piacevoli e festosi, questi acquerelli riescono gradevoli, anche per il melodico caldo succedersi di motivi marini. E il colore, l'ambiente, ci ricordano a volte il Marotta dell'ORO DI NAPOLI.

Maria Punzo
dal "Giornale del Popolo" di Bergamo, aprile 1959

- del giovane pittore Vincenzo Romanelli riescono gradevoli l'impeto, il brio e la vivezza degli acquerelli: impressioni roride, rapide, gustose. Ovunque vi è movimento, brulicare di uomini e cose: l'attimo fuggitivo è fissato nel suo palpito di vita.

Jole Simeoni Zanollo
dalla Rassegna "Vita Veronese", dicembre 1958

 

- si tratta di un artista che ama cogliere impressioni di ambienti visitati; piccole spiagge, casette affacciate sul mare, piazze di paesi, casolari. Tutto è reso con un disegno ben equilibrato, di immediata e fresca comunicatività. Dal punto di vista critico va segnalato il carattere di estrema compostezza con il quale l'autore affronta un tal genere di pittura: la buona tecnica ed un vivace senso coloristico. Questi acquerelli dimostrano infine una notevole sapienza compositiva ed una buona conoscenza del mezzo espressivo.

Carlo Segala
dal "Gazzettino Veneto", novembre 1958

Lo stile è l'uomo; ogni artista ha il suo centro di interesse: vi è l'umanista che è incline alla figura ed alla composizione, il romantico che riporta sulla tela o sulla carta il sogno di un paesaggio caro e consueto, ed infine vi è il pittore irrequieto, moderno, che viaggia e, dalle cose viste, coglie quel che più gli piace prendendone saporosi appunti.

Vincenzo Romanelli appartiene a quest'ultimo gruppo: è un annotatore sagace e spiritoso, è un visitatore curioso che si addentra nel cuore dei quartieri più vivi, quelli del popolo, soprattutto quando ritorna in alcuni luoghi della costa pugliese, che sono "suoi" perchè da quelli è originario, e riporta sulla tela o sul cartone le stradette a mare, rallegrate da festoni di reti, popolate da pescatori e marinai, ingombre di masserizie all'aperto e di bancarelle multicolori oltre le quali s'intravede il mare.

Romanelli dipinge ad olio e all'acquarello: più cupo e più drammatico nella prima delle due tecniche, dove la ricerca del tono diventa ripensamento della realtà oggettiva e manifestazione di un profondo stato d'animo; più cordiale nella seconda, come si trovasse a suo più largo agio, quando soprattutto disegna con robusti e incisivi tratti e colora con gustosa cautela e con delicate trasparenze il disegno compiuto.

Questi acquerelli, in particolar modo, si fanno guardare con piacere; cosa non tanto frequente di questi tempi in cui i pittori sembran fare di tutto per riuscire sgraditi. Vincenzo Romanelli offre perciò una pittura spontanea, simpatica, così come un buon scrittore presenterebbe un piacevole e garbato libro di novelle d'ambiente popolaresco.

Lorenzo Favero, 1958

 


 

 
 

   
 

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