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Il paesaggio di ognuno
Pia Ferrari
L'origine etimologica della parola "paesaggio" sottolinea la derivazione
dal francese paysage e dal latino pagensis, cioè relativo al villaggio (pagus),
ma comunemente il paesaggio è definito come porzione di territorio quale
appare a chi la guarda. In definizioni più approfondite, specialmente a
livello normativo, esso è inteso come una parte omogenea di territorio i
cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle
reciproche interrelazioni. Infine, spesso, il termine oscilla tra
accezioni scientifiche, per le quali è l'insieme delle cose e delle
relazioni fra loro, storiciste, in cui è ritenuto il risultato
dell'evoluzione della natura e dell'azione dell'uomo, e percettiviste,
dove è visto come l'insieme delle forme visibili di un luogo e delle
relazioni fra di esse.
Ho pensato che i lavori di Romanelli riassumano un pò tutte queste
questioni, tra filosofia e scienza, in modo immediato e corporeo.
Soprattutto, nei suoi dipinti, mi sembra di riconoscere la
consapevolezza che il paesaggio debba essere un insieme armonico di
forme diverse, nel quale l'impronta dell'uomo sta nel filtro dello
sguardo, più che nei segni reali del lavoro, della storia e delle
presenze architettoniche. Non a caso, barche, case, solchi dei campi
ridotti a traccia, sembrano incorporati e preservati in un nucleo
organico e pulsante che è pura natura.
Romanelli ama mostrare le strutture del reale,
l'essenza degli elementi, i percorsi vitali: per questo dipinge
impiegando tecniche diverse. L'uso della matita, del pastello, della
china, dell'acrilico è funzionale alla resa di diverse consistenze ed
atmosfere, tanto che spesso le opere sono realizzate con tecniche miste
che si stratificano e completano a vicenda. L'urgenza del dipingere, del
fermare visioni è denunciata dall'uso di supporti diversi, a volte
apparentemente accidentali ed estremamente semplici, poveri, come carte
e tele dai profili non lineari che
sembrano strappati al caso; ma la misura della sua pittura riconduce la
resa complessiva in parametri rigorosi.
Crea forme con macchie di colore, traccia il loro divenire con gesti
forti, accenna al loro appassire con segni esili. Sulle sue tele e carte
dipinte tutto si vede ed affiora alla superficie in modo essenziale e
scarno, perfino i solchi dell'acqua non si asciugano e rimangono, non
assorbiti dal suolo, a determinare tracciati visivi.
Visioni di questo tipo sono possibili per occhi che si meravigliano in
modo limpido di fronte ai fenomeni della natura e per mani che li
rappresentano con freschezza senza filtri, nonostante la lunga
esperienza della pratica artistica.
In Romanelli il saper fare pittura si è consolidato
con gli anni, i suoi repertori si sono succeduti in corsi e ricorsi. Sa
cogliere al volo le affinità esistenziali tra luoghi, animali ed
elementi naturali, dalle piante alle rocce, all'uomo, fissandoli, tutti,
nella loro vita sulla terra come corpi vivi, con sofferenze, esplosioni
di gioia, o spegnimenti.
Mauro Corradini ha riconosciuto nel suo "segno insistito, largo nel
gesto, fortemente debitore del clima informale, che forse trova un suo
riferimento nella grafia pittorica di artisti come Franco Francese" ,
suggestioni vicine alla pittura del realismo esistenziale e nel contempo
ne ha segnalato le distanze, soprattutto rispetto ai contenuti sociali
tipici
della corrente.
È probabile che la formazione da autodidatta, il distacco dalle
querelles artistiche bresciane degli anni Sessanta, la successiva
lontananza dalla città e la visione di luoghi diversi, abbiano permesso
all'autore quell'isolamento che è diventato spontanea adesione a toni
pittorici decisamente avvicinabili alla poesia.
Parallelamente alla padronanza dei mezzi della pittura, Romanelli può
dunque, come un bambino, incantarsi davanti a paesi che sembrano
illustrazioni di carta, addentrarsi in selve di granoturco e giocare con
i ciottoli di fiume. Se a tratti la rievocazione dello stupore avviene
rifacendo il verso alle incertezze del segno infantile, più
frequentemente il
suo segno allude alla fine delle cose: al frantumarsi delle rocce,
all'appassire dei girasoli, alla macerazione del mais fradicio di
pioggia.
Non sono molte le figure umane presenti nel
repertorio di Romanelli, ma quasi tutte hanno affinità con il paesaggio:
le spalline di una canottiera di un vecchio creano sinuosità come un
fiordo sulla pelle, in altre figure il tratto si sofferma sullo
smembrarsi della stoffa, in altre ancora sulla postura che si sfrangia
al suolo con segno dinamico come quello
delle stoppie nei campi.
Nel percorso dell'artista si possono individuare filoni tematici
rilevanti, dalla figura di genere alla natura morta; ma tutto sembra
essere un panorama osservato da vicino, anche il corpo di un animale o
la buccia di una zucca.
Il paesaggio è il luogo dove si addensano i segni del tempo, succosità,
maturazioni, tensioni e rilassamenti. Frutti e animali del mondo della
tradizione contadina sono rivisitati con l'attenzione ed i significati
dell'arte, da Caravaggio a Picasso, cogliendo le avvisaglie del loro
spegnimento, l'accendersi simbolico attraverso il colore, il vivere in
simbiosi con l'atmosfera attorno, attraversati dall'aria in dialogo con
le cose. Il segno "spoglio dimesso ed essenziale" 2 con cui Romanelli
fissa i suoi soggetti è stato fin dagli esordi riconosciuto come
elemento qualificante della sua pittura ed anche nelle opere dell'ultimo
decennio permane e si rafforza, cercando situazioni ancora più
universali, slegate dalla rappresentazione mimetica.
Se tutto sembra essere paesaggio, le vedute di una natura tutto sommato
ancora incontaminata, o comunque quasi per niente attraversata dal
nostro tempo, ma contemporanea nei modi della pittura, sono il nucleo
tematico più importante nel percorso di Romanelli, dagli anni Sessanta
ad oggi. In continuità con alcune scelte stilistiche ed iconografiche
del passato, i paesaggi recenti sono dominati da un rigore che rifiuta
particolarismi e da scelte quasi informali che sviluppano intuizioni già
apparse in precedenza.
L'artista non rinuncia al doppio aspetto della rappresentazione, da un
lato reale, dall'altro legato alle vie autonome delle arti figurative:
così i campi d'estate sono magmi di colore, ma anche caldo d'incendi; le
prime nebbie d'autunno, umide e percorse da odori di stoppie brucia- te,
sono solo grossi segni in verticale e sbavature di fumo, se viste da
vicino.
I solchi dei campi, grammatica della vita organizzata, scandiscono allo
stesso modo il riquadro del dipinto, senza bisogno di molti altri elementi
ad indicare luoghi e stagioni.
Rocce nere come gli agglomerati materici della pittura informale si
mostrano davvero in questo modo, se viste in controluce.
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I rivoli di pioggia che formano tracciati come "gli umori dell'emozione"
, simili a quelli di un quadro espressionista astratto, sono gli stessi
che solcano i vetri delle auto o i nostri impermeabili in un temporale
di
ottobre. Il profilo dei ciottoli di fiume in un giorno annoiato diviene
puro arabesco; in una corrida televisiva il toro è già rosso nella sigla
d'apertura, il mare d'inverno nebbioso e umido crea visioni miopi del
reale ed i campi si possono incendiare di viola o di azzurro, oltre che
di rosso: tutto questo sembrano voler dire le opere di Romanelli,
facendo riferimento, al di là di un dialogo comunque presente con la
pittura contemporanea, al modo di guardare immediato e primario di
ognuno.
2 Elvira Cassa Salvi, "Giornale di Brescia", 19 dicembre 1967
3 Mauro Corradini, "Bresciaoggi", 2 aprile 1990
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