VINCENZO
ROMANELLI

 

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Il paesaggio di ognuno
 
Pia Ferrari

L'origine etimologica della parola "paesaggio" sottolinea la derivazione dal francese paysage e dal latino pagensis, cioè relativo al villaggio (pagus), ma comunemente il paesaggio è definito come porzione di territorio quale appare a chi la guarda. In definizioni più approfondite, specialmente a livello normativo, esso è inteso come una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni. Infine, spesso, il termine oscilla tra accezioni scientifiche, per le quali è l'insieme delle cose e delle relazioni fra loro, storiciste, in cui è ritenuto il risultato dell'evoluzione della natura e dell'azione dell'uomo, e percettiviste, dove è visto come l'insieme delle forme visibili di un luogo e delle relazioni fra di esse.
Ho pensato che i lavori di Romanelli riassumano un pò tutte queste questioni, tra filosofia e scienza, in modo immediato e corporeo. Soprattutto, nei suoi dipinti, mi sembra di riconoscere la consapevolezza che il paesaggio debba essere un insieme armonico di forme diverse, nel quale l'impronta dell'uomo sta nel filtro dello sguardo, più che nei segni reali del lavoro, della storia e delle presenze architettoniche. Non a caso, barche, case, solchi dei campi ridotti a traccia, sembrano incorporati e preservati in un nucleo organico e pulsante che è pura natura.

Romanelli ama mostrare le strutture del reale, l'essenza degli elementi, i percorsi vitali: per questo dipinge impiegando tecniche diverse. L'uso della matita, del pastello, della china, dell'acrilico è funzionale alla resa di diverse consistenze ed atmosfere, tanto che spesso le opere sono realizzate con tecniche miste che si stratificano e completano a vicenda. L'urgenza del dipingere, del fermare visioni è denunciata dall'uso di supporti diversi, a volte apparentemente accidentali ed estremamente semplici, poveri, come carte e tele dai profili non lineari che
sembrano strappati al caso; ma la misura della sua pittura riconduce la resa complessiva in parametri rigorosi.
Crea forme con macchie di colore, traccia il loro divenire con gesti forti, accenna al loro appassire con segni esili. Sulle sue tele e carte dipinte tutto si vede ed affiora alla superficie in modo essenziale e scarno, perfino i solchi dell'acqua non si asciugano e rimangono, non assorbiti dal suolo, a determinare tracciati visivi.
Visioni di questo tipo sono possibili per occhi che si meravigliano in modo limpido di fronte ai fenomeni della natura e per mani che li rappresentano con freschezza senza filtri, nonostante la lunga esperienza della pratica artistica.

In Romanelli il saper fare pittura si è consolidato con gli anni, i suoi repertori si sono succeduti in corsi e ricorsi. Sa cogliere al volo le affinità esistenziali tra luoghi, animali ed elementi naturali, dalle piante alle rocce, all'uomo, fissandoli, tutti, nella loro vita sulla terra come corpi vivi, con sofferenze, esplosioni di gioia, o spegnimenti.
Mauro Corradini ha riconosciuto nel suo "segno insistito, largo nel gesto, fortemente debitore del clima informale, che forse trova un suo  riferimento nella grafia pittorica di artisti come Franco Francese" , suggestioni vicine alla pittura del realismo esistenziale e nel contempo ne ha segnalato le distanze, soprattutto rispetto ai contenuti sociali tipici
della corrente.
È probabile che la formazione da autodidatta, il distacco dalle querelles artistiche bresciane degli anni Sessanta, la successiva lontananza dalla città e la visione di luoghi diversi, abbiano permesso all'autore quell'isolamento che è diventato spontanea adesione a toni pittorici decisamente avvicinabili alla poesia.
Parallelamente alla padronanza dei mezzi della pittura, Romanelli può dunque, come un bambino, incantarsi davanti a paesi che sembrano illustrazioni di carta, addentrarsi in selve di granoturco e giocare con i ciottoli di fiume. Se a tratti la rievocazione dello stupore avviene rifacendo il verso alle incertezze del segno infantile, più frequentemente il
suo segno allude alla fine delle cose: al frantumarsi delle rocce, all'appassire dei girasoli, alla macerazione del mais fradicio di pioggia.

Non sono molte le figure umane presenti nel repertorio di Romanelli, ma quasi tutte hanno affinità con il paesaggio: le spalline di una canottiera di un vecchio creano sinuosità come un fiordo sulla pelle, in altre figure il tratto si sofferma sullo smembrarsi della stoffa, in altre ancora sulla postura che si sfrangia al suolo con segno dinamico come quello
delle stoppie nei campi.
Nel percorso dell'artista si possono individuare filoni tematici rilevanti, dalla figura di genere alla natura morta; ma tutto sembra essere un panorama osservato da vicino, anche il corpo di un animale o la buccia di una zucca.
Il paesaggio è il luogo dove si addensano i segni del tempo, succosità, maturazioni, tensioni e rilassamenti. Frutti e animali del mondo della tradizione contadina sono rivisitati con l'attenzione ed i significati dell'arte, da Caravaggio a Picasso, cogliendo le avvisaglie del loro spegnimento, l'accendersi simbolico attraverso il colore, il vivere in simbiosi con l'atmosfera attorno, attraversati dall'aria in dialogo con le cose. Il segno "spoglio dimesso ed essenziale" 2 con cui Romanelli fissa i suoi soggetti è stato fin dagli esordi riconosciuto come elemento qualificante della sua pittura ed anche nelle opere dell'ultimo decennio permane e si rafforza, cercando situazioni ancora più universali, slegate dalla rappresentazione mimetica.
Se tutto sembra essere paesaggio, le vedute di una natura tutto sommato ancora incontaminata, o comunque quasi per niente attraversata dal nostro tempo, ma contemporanea nei modi della pittura, sono il nucleo tematico più importante nel percorso di Romanelli, dagli anni Sessanta ad oggi. In continuità con alcune scelte stilistiche ed iconografiche del passato, i paesaggi recenti sono dominati da un rigore che rifiuta particolarismi e da scelte quasi informali che sviluppano intuizioni già apparse in precedenza.
L'artista non rinuncia al doppio aspetto della rappresentazione, da un lato reale, dall'altro legato alle vie autonome delle arti figurative: così i campi d'estate sono magmi di colore, ma anche caldo d'incendi; le prime nebbie d'autunno, umide e percorse da odori di stoppie brucia- te, sono solo grossi segni in verticale e sbavature di fumo, se viste da
vicino.
I solchi dei campi, grammatica della vita organizzata, scandiscono allo stesso modo il riquadro del dipinto, senza bisogno di molti altri elementi ad indicare luoghi e stagioni.
Rocce nere come gli agglomerati materici della pittura informale si mostrano davvero in questo modo, se viste in controluce. 3
I rivoli di pioggia che formano tracciati come "gli umori dell'emozione" , simili a quelli di un quadro espressionista astratto, sono gli stessi che solcano i vetri delle auto o i nostri impermeabili in un temporale di
ottobre. Il profilo dei ciottoli di fiume in un giorno annoiato diviene puro arabesco; in una corrida televisiva il toro è già rosso nella sigla d'apertura, il mare d'inverno nebbioso e umido crea visioni miopi del reale ed i campi si possono incendiare di viola o di azzurro, oltre che di rosso: tutto questo sembrano voler dire le opere di Romanelli, facendo riferimento, al di là di un dialogo comunque presente con la pittura contemporanea, al modo di guardare immediato e primario di ognuno.

2 Elvira Cassa Salvi, "Giornale di Brescia", 19 dicembre 1967
3 Mauro Corradini, "Bresciaoggi", 2 aprile 1990
 

 
 

   
 

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